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Che fra Ottocento e Novecento, fra naturalismo e modernismo, non ci sia - come ancora ripetono molti manuali di storia letteraria - un'invalicabile "barriera", ma una tendenziale continuità, è la tesi di fondo di questo libro. Dopo un'introduzione generale, che prova a abbozzare Un'idea dell'Ottocento, una Prima Parte zoliana (quattro saggi), una Seconda Parte verghiana (due saggi) e una Terza Parte sulle radici ottocentesche del modernismo (un unico saggio molto ampio) argomentano, da diversi punti di vista, alcune delle ragioni per cui, in un'ottica di longue durée, i debiti molteplici che i più importanti scrittori d'inizio Novecento hanno contratto con la narrativa naturalista e verista, per quanto a volte occultati dagli stessi autori, sono più importanti delle pur decisive innovazioni. In particolare, la centralità di una quotidianità insignificante, sottratta a ogni teleologia, esibita nella sua bruta oggettività e al tempo stesso riscattata nelle forme di uno straniarne mito, è elemento decisivo che dalla descrizione naturalista conduce alla rappresentazione modernista. Alternando analisi tematica, studio filologico della genesi dei testi, riflessione teorica, proposte ermeneutiche e ricostruzioni storiografiche, Pellini rivendica per Zola e per Verga un'attualità a tratti paradossale, sempre imprescindibile.